domenica 11 agosto 2013

Manifesto del frastuono

Io in macchina.
Parcheggiata di fronte al mio posto di lavoro, respiro la fine del turno che sa di notte fresca e vento estivo e sfoglio le pagine del mio porta cd alla ricerca della colonna sonora adatta al momento.
Cream: no.
Una moto sfreccia felina spettinando le antenne della mia umile utilitaria.
The Doors: no.
Che poi, in realtà, devo solo andare a casa. Dieci minuti di strada all'ingresso, tredici alla doccia. Lavarsi di dosso la fatica al mio tre.
Due.
I Muse mi ammaliano con Origin of Symmetry, ma dura un secondo e comunque no.
Giro la chiave nell'accensione.
La radio prende vita da sé e, be', buco mnemonico: che ci fanno gli Anthropos nel mio lettore?

Guido.
Please, don't take strangeeers! canto.
La voce di Michele riempie l'abitacolo e mi entra dentro, e allora penso: quanta arte nascosta, in questa città. Quanta qualità. Quanta emozione.
Che si annida nei garage.
Nei pubbetti un po' sfigati.
Nei lettori cd degli amici più cari.
E allora mi viene in mente una cosa che mi disse una volta mio padre. Ascoltavamo l'assolo di un bassista a una sagra paesana, e nemmeno mi piaceva così tanto perché, non so, forse era l'ambiente o forse ero io o forse, magari, era lui, fatto sta che continuavo a sbadigliare e papà disse: "Pensa a quanto tempo, quanto lavoro, quanta energia, quanta speranza c'è dietro quelle note."
L'arte è diventata banale. Il processo creativo, un affare comune. Accessibile a chiunque. 
Le abbiamo restituito un alone di umanità: ogni opera cela la carne e il sangue di chi l'ha creata, l'artista non è più tramite eletto dalla trascendenza come punto di congiunzione tra la terra e l'ineffabile. Mettiti l'anima in pace, Platone.
E va bene.
Va tutto bene.
Quel che mi inquieta è l'approccio con cui ci si rapporta all'arte adesso. Come se, appunto, sia qualcosa di banale. Qualcosa che c'è, punto.
E invece per me si tratta di magia. 
E quando ripenso a Michele davanti al pianoforte intento a comporre Ulalume's joke, a tutto quel tempo, il lavoro, l'energia, la speranza... Io mi emoziono. 
E non c'è cosa più grande.

Quel che vorrei fare è parlarne.
Perché Perugia è una piccola città, e agonizza e annega e a volte scompare ma sotto la pelle è ancora viva. Dietro le quinte. Un po' in disparte.
Perché i più bei concerti che io abbia mai visto non avevano palchi di sessanta metri né giganclopici maxischermi dai mille colori. Nessuna scelta tra prato o tribuna: si sta davanti, insieme, a un metro dalle spie. 
Questo non è un blog di critica musicale. Non è un commento sulla scena perugina. 
Qui ci sono io che vado ai concerti e poi ne parlo. 
Perché le cose belle devono essere diffuse.
E ora basta con tutti questi perché.

Scrivo un manifesto e non voglio niente, eppure certe cose le dico, e sono per principio contro i manifesti, come del resto sono contro i principi (misurini per il valore morale di qualunque frase). Scrivo questo manifesto per provare che si possono fare contemporaneamente azioni contraddittorie, in un unico refrigerante respiro; sono contro l'azione, per la contraddizione continua e anche per l'affermazione, non sono né favorevole né contrario e non do spiegazioni perché detesto il buon senso.
DADA non significa nulla.
(... )
L'opera d'arte non deve rappresentare la bellezza che è morta. Un'opera d'arte non è mai bella per decreto legge, obiettivamente, all'unanimità. La critica è inutile, non può esistere che soggettivamente, ciascuno la sua, e senza alcun carattere di universalità. Si crede forse di aver trovato una base psichica comune a tutta l'umanità? Come si può far ordine nel caos di questa informa entità infinitamente variabile: l'uomo? Parlo sempre di me perché non voglio convincere nessuno, non ho il diritto di trascinare gli altri nella mia corrente, non costringo nessuno a seguirmi e ciascuno si fa l'arte che gli pare.
 
Tristan Tzara - Manifesto Dada
 

 Gli Anthropos (quasi) al completo in un momento imprecisato prima di un concerto 




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